Ieri, lunedì 13 marzo 2017, l’ANSA informava che gli imputati dell’affaire Porto di Imperia erano stati prosciolti in appello a Torino.

A Torino il professore Bobbio mi ha insegnato a distinguere tra giudizio morale, sociale e legale.

In questa faccenda quello morale si è risolto in una condanna senza appello non appena -dagli atti- si sono visti gli amministratori intenti a firmare la concessione demaniale genuflessi davanti al tycoon romano.

Quello sociale è scritto nelle cose, un boccone di 50 ettari nella gola di una comunità che da anni non riesce a trangugiarlo e non sa come sputarlo.

Quanto al giudizio legale potrebbe riassumerlo la James in 50 sfumature di abuso, che spaziano dalla contabilità taroccata dell’opera pubblica alle sue ricadute nel ricalcolo del canone di concessione originariamente stabilito in € 227.949,10 più € 22.794,91 di imposta regionale, dai vizi e difetti delle urbanizzazioni, come l’autorimessa San Lazzaro, al rispetto delle norme in materia ambientale ed ecologica, come il deposito di inerti in abbandono, dagli abusi edilizi, come il capannone poi demolito, alla occupazione abusiva di Calata Anselmi, e via elencando.

Poi, come la ciliegina sulla torta, non può mancare il giudizio penale, la classica gocciolina di sangue sulla camicia dei duellanti dietro il muro del Convento delle Carmelitane o sul lenzuolo la prima notte di nozze a dire al mondo che l’offesa è lavata e che Caltagirone era vergine.

Con canto e controcanto dei corifei delle due opposte fazioni, immancabile colonna sonora di un episodio della serie “Come distruggere il Paradiso”, dopo quello sul casinò, su Area 24, sull’autoporto di Ventimiglia, sull’Aurelia bis e avanti ancora.

Tristezza infinita.